Luigi Vollaro

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Luigi Vollaro. Comprendere la materia e i suoi segni*
intervista all'artista di Pasquale Ruocco, curatore della mostra


La materia o, meglio, la modalità del rapporto con la materia impiegata - parafrasando quanto ha osservato Enrico Crispolti -, costituisce evidentemente l’aspetto nodale della tua poetica. Il tuo è, infatti, un percorso contraddistinto dalla manipolazione, sempre plastica, di diverse materie o materiali: tufo, gesso, cartapesta e in tal senso penso ovviamente ad Omaggio a Pinelli, del 1972, e ancora l’argilla della lunga esperienza con la terracotta, il piombo, il rame dei lavori più decenti. Quali suggestioni ti hanno condotto, di volta in volta, a preferire una materia anziché un'altra? In altre parole, che tipo di relazione intercorre tra la materia e il pensiero? 
Negli anni, come hai già rilevato, mi sono confrontato con diversi materiali; la scelta era, ed è tuttora, mossa da esigenze intime o, meglio, espressive, poetiche, dalle necessità del momento che sono spesso, non nascondo, anche di natura economica. Ricordo quando negli anni Settanta lavoravo con la cartapesta. Non seguivo la tecnica tradizionale, ma usavo semplicemente della colla e dei giornali che mi permettevano di ottenere, sfoglia dopo sfoglia, una massa da modellare senza spendere grosse cifre. Penso di essere uno scultore proprio in virtù di quello che considero un vero e proprio amore per la materia, in pratica per la possibilità di manipolarla. Del lavoro con la terracotta, ad esempio, ricordo soprattutto le mani che affondavano nell'argilla, le impronte lasciate dai polpastrelli, le possibilità che avevo di tagliare, allungare, incidere, sgrossare, assottigliare... L'argilla, in effetti, è una materia che ancora oggi mi affascina proprio per questa sua corporeità. Ogni materia, però, ha i suoi limiti e penso che l'artista debba lavorare proprio su questi ultimi, forzandoli e infine superandoli. Seguendo questa prospettiva posso considerare il mio percorso artistico una sorta di viaggio tra le materie, fatto di scoperte continue: dall'argilla sono passato al piombo ed ora lavoro la lamina di rame almeno fino a quando non l'avrò condotta alle sue estreme conseguenze.

Quali sono gli elementi di continuità all'interno della tua ricerca e quali di discontinuità che spingono, cioè, verso processi innovativi e alla scelta di materie diverse? 
Come ho già accennato, penso che il mio personale percorso sia caratterizzato principalmente da una tensione che mi conduce al superamento dei limiti della materia. Non penso, quindi, che nel mio lavoro esistano aspetti di discontinuità, se non quelli posti dall'uso di materiali tra loro diversi e quindi dalle differenti modalità di manipolazione: utilizzare un nuovo materiale equivale a nuove tecniche da assimilare, ulteriori problemi da risolvere, diverse proprietà da controllare. L'argilla presuppone, ad esempio, la conoscenza delle tecniche di modellazione e di cottura, così come l'uso del piombo e del rame richiede la conoscenza delle modalità e degli strumenti necessari per effettuare una saldatura. Ricordo che passai dall'argilla alla lastra di piombo perché quest'ultima mi permetteva al contempo di conservare alcuni tratti, soprattutto a livello di epidermide, di scrittura, dell'argilla e di superarne i limiti fisici, statici. A sua volta, però, il piombo esigeva un lavoro molto più complicato, dovuto alla sua pesantezza e fragilità, che mi portarono col tempo all'uso della lastra di rame, più resistente e leggera. Ovviamente il passaggio da una materia all'altra non è causato solo da questioni tecniche, ma anche da ciò che in un determinato momento avevo bisogno di dire. In poche parole, quello dello scultore é per me un lavoro di continua ricerca, al fine di soddisfare le proprie necessità tecniche e, soprattutto, espressive.

Nei primi anni Ottanta ti confronti con la pratica dell'incisione: ricordo la cartella di acquetinte ed acqueforti dal titolo Progetti per il cielo: macchine acchiappa nuvole pubblicata nel 1983 nella quale è ben evidente una volontà progettuale esibita in termini di segni decisamente già pronti a tradursi, com'è stato, in quei rilievi, nelle scritture, nelle impronte che come germogli animavano la superficie della terracotta. Quanto e come ha contribuito il confronto con una tecnica come quella dell'incisione nella definizione del tuo dettato immaginativo? 
A dir la verità non saprei dirlo. Penso che alla base di tutto ci sia sempre stato il disegno, di cui l'incisione è una sorta di parallelo seriale. Ho sempre disegnato tanto, in particolare con la china; mi ricordo che realizzavo segni leggeri aerei, a volte quasi trasparenti che, però, non sempre erano destinati a tradursi in segno plastico. Lo stesso valeva ed ancora vale, per l'incisione. Di sicuro amo le possibilità di confronto, non tanto con una tecnica diversa quanto ancora con la materia: legno, linoleum, zinco o rame per la lastra calcografica. Ricordo con quanta emozione seguivo l'acido scavare i solchi sulle lastre che preparavo o lasciare le ombre opache dell'acquatinta. Certo, scavare, incidere la lastra con il bulino, ritorna soprattutto nei miei lavori con l’argilla, sulla quale riportavo una sorta di scrittura personale, ma in virtù del fatto che ho sempre considerato l’arte come ricerca di un messaggio, soddisfazione di un’esigenza di espressività al di là delle materie e della tecniche.

Rispetto agli anni della tua formazione, penso ovviamente all'azione politico-culturale di LUCA e ai vari gruppi formatisi tra Napoli, Salerno e Scafati, a manifestazioni come Natale a Napoli, del 1970, l'epoca che viviamo sembra svuotata dalle ideologie, appianata dal consenso della partecipazione omologante. Una situazione poco rassicurante che colpisce ovviamente anche il mondo dell'arte ed in particolare i giovani. Cosa pensi che manchi alla mia generazione per farsi carico di una nuova fase di progettualità, ossia dell'urgenza di ripensare la città quale promotrice di un nuovo umanesimo? 
Stiamo parlando di due realtà completamente differenti... in trenta, vent'anni la società è cambiata radicalmente, sotto il profilo politico, economico e culturale. Non penso che alle nuove generazioni manchi qualcosa, se non quella forza, quella tenacia, data proprio dalle mancanze, dall'impossibilità di avere delle cose. Oggi i giovani hanno tutto; la società in cui viviamo si basa sul soddisfacimento di qualsiasi bisogno e sulla creazione di ulteriori bisogni da soddisfare, in poche parole una società fondata su un circolo vizioso. A differenza della mia generazione, poi, la tua mi sembra poco interessata alla politica, intesa quale impegno quotidiano nel sociale. Durante gli anni che hai citato, la politica era all'ordine del giorno, era al centro di accesi dibattiti anche rispetto al ruolo che l'arte doveva avere nella società. Bisogna ammettere che quello che viviamo è di certo un periodo di transizione, anche dal punto di vista culturale... C'è la necessità, insomma, di definire i nuovi strumenti, i nuovi linguaggi dell'arte che la storia di volta in volta ci offre per essere aderenti al tempo che viviamo.

Parlando di progettualità, di scenari futuribili non posso fare a meno, prima di concludere, di chiederti qualche considerazione sullo stato della scultura oggi, anche considerando gli sviluppi in termini ambientali, con i quali tu stesso di recente ti sei confrontato. 
Sinceramente non riesco ad esprimere un giudizio sereno sulla scultura oggi. Per formazione ho sempre concepito la scultura in senso classico, quale manipolazione di materie, di ricerca del volume e del suo inserimento nello spazio. Guardandomi attorno mi accorgo che molti artisti lavorano sull'assemblaggio di materiali che spesso potremmo definire extra artistici... Come dicevo prima è una questione di definizione dei nuovi strumenti dell'arte. Di sicuro gli sviluppi ambientali della scultura segnano un itinerario molto interessante, offrono cioè la possibilità all'artista di darsi alla collettività. Per soddisfare quest’esigenza, però, penso che lo scultore, l'artista in generale, debba partecipare alla progettazione dello spazio collaborando attivamente con gli architetti. Effettivamente non condivido la tendenza degli architetti d'oggi, delle archistars, di sostituirsi all'artista penso, invece, che l'uno non possa fare a meno dell'altro e viceversa.

*il testo è stato pubblicato in M. Bignardi (a cura di), Luigi Vollaro. Sculture e disegni, catalogo della mostra, Museo Frac, Baronissi, Salerno, Plectica 2009.